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antonio montanari

Memoria corta, dramma lungo

Ha ragione Giovanni Bianconi a definire l'Italia un Paese dalla memoria corta (CorSera, 23.10) a proposito del processo per la strage di Brescia, 28 maggio 1974, con 8 morti e 94 feriti.
La vicenda giudiziaria ancora aperta dopo 36 anni, dimostra un aspetto inquietante. Lo illustra a Bianconi l'avv. Michele Bontempi, anni 37, figlio di uno dei feriti, e legale per il padre ed alcune famiglie degli uccisi: sono emersi "depistaggi da parte dei servizi segreti".
A cui va aggiunta "una rete di protezione pronta a scattare in qualunque momento e in qualunque luogo". Ne ha parlato un giudice istruttore.
Bianconi aggiunge: nello stesso 1974 ci sono state informative dei servizi "dalle quali traspariva già il ruolo di alcuni ambienti neofascisti". Ma soltanto dal 1992 fra mille difficoltà esse cominciano ad arrivare ai magistrati inquirenti.
Il processo attuale per l'eccidio di piazza della Loggia, commenta Bianconi, avviene in un silenzio pressoché totale. Siamo uno strano Paese, conclude: anziché coltivare la memoria si lascia crescere l'oblio.
Le sue parole trovano conferma nella notizia di fonte statunitense relativa a nuovi documenti sulla guerra in Irak pubblicati da WikiLeaks. Uno riguarda l'uccisione di Nicola Calipari nel 2005, dopo aver liberato la giornalista rapita Giuliana Sgrena.
La quale non crede alla rivelazione per cui gli Usa erano stati allertati sull'arrivo di un'auto imbottita di tritolo: contro di essa dal posto di blocco avrebbero sparato per evitare una strage. La fonte segreta parlava di una Chevrolet blu. Calipari e Sgrena erano in una Toyota bianca. Inoltre Calipari mentre cercava la Sgrena, fu all'inizio intralciato e deviato da vari servizi segreti.
Commenta Rosa Villecco vedova Calipari: la Cassazione ha negato la possibilità di celebrare un processo in Italia, e sulla morte del marito è stato decretato il trentennale segreto di Stato.
Si ritorna al punto da cui siamo partiti. Quasi quattro decenni per Brescia e per la morte di Calipari. Alla cui famiglia auguriamo di avere l'energia necessaria per far tener presente una storia che non va dimenticata. Rosa Calipari ha confidato a Repubblica i suoi dubbi, il più importante riguarda il ruolo del marito, "conosciutissimo dall'intelligence Usa con la quale collaborava regolarmente".
Si ritorna pure a quel porto delle nebbie in cui fra politica e servizi segreti ci sono stati (o sono ancora?) troppi accordi. E dove può naufragare la democrazia. [1013]

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA

 

1994 censurato perché difendevo Citaristi

1994. Ecco il testo completo del Tama che avevo presentato in redazione.

Per una di quelle stranezze che la vita ci rivela sotto forma di impensabili coincidenze, poche ore dopo la fuga dal supercarcere padovano del «boss del Brenta», quasi a pareggiare i conti presso un'opinione pubblica sempre più forcaiola, è stato posto agli arresti domiciliari Severino Citaristi, ex senatore ed ex tesoriere della dc, 73 anni e 74 avvisi di garanzia.


Il personaggio lo conosciamo, tant'è passato in televisione con il suo fare serio di persona che non ha negato nulla, non ha intascato niente per sé, ha soltanto ammesso di aver ceduto per un attimo a quella lusinga che gli aveva fatto De Mita, dicendogli: sei stato bravo ad organizzare un convegno nella tua città, vieni a darci una mano a far quadrare i conti del partito.

A Roma il sen. Citaristi è arrivato già anziano, con una sua posizione raggiunta nella vita civile. Roma l'ha rovinato nella reputazione e nel fisico. Ora è gravemente ammalato. Dopo mesi di presenze nei tribunali, deposizioni, colloqui con i magistrati, la Giustizia temeva che il vecchio politico lombardo scappasse o inquinasse le prove. Lo hanno rinchiuso in casa. Da dove ha detto ad un cronista: «Ho commesso le mie colpe ed è giusto che paghi, ma è giusto che qualcun altro paghi per le colpe di natura politica. Non voglio essere un capro espiatorio». Gli hanno telefonato vecchi amici di squadra come Scalfaro, ma anche militanti di Rifondazione comunista per esprimergli solidarietà. Per quello che conta la voce di un misero cronista di provincia, mi associo, con un augurio: di essere sereno, in mezzo ai tanti imbroglioni che ci circondano.

Il suo caso, sen. Citaristi, è esemplare: l'avevano nominata «responsabile» degli affari di partito, ed intanto decidevano tutto e soltanto gli altri. Lei per spirito di corpo, doveva come quelli della Benemerita «obbedir tacendo»: sapeva che cosa costava la gestione, sapeva che qualcuno le procurava i fondi degli «amici», e sapeva che non doveva sapere perché come «responsabile» non poteva e non doveva dire nulla. La sua onestà arriva a farle dire: «Ho commesso le mie colpe». Ma in politica, come in guerra, ognuno pensa alla propria pelle: forse lei resterà l'unico capro espiatorio. Non si illuda che qualcuno le venga in aiuto.

La vita è quella strana cosa, per cui se non sai far nulla o lavori male, pochi ti biasimano. Ma se dimostri di riuscire a cavartela, se ci prendi gusto a far le cose per bene, non tanto per soddisfazione personale, ma perché credi che quando si lavora sia nostro dovere dare il meglio, allora troppi cercano di fregarti: gelosie, invidie, piccinerie idiote di chi si diverte a tendere tranelli, diventano fatti d'ordinaria amministrazione. Quando fu arrestato Enzo Tortora, un innocente che sarebbe poi morto di galera, ci fu chi brindò.

 

 

Tutte le mafie di città e dintorni

Viaggio nell'Emilia-Romagna del malaffare


L'impressionante viaggio nell'Italia del malaffare, che Roberto Galullo compie in "Economia criminale" (Il Sole 24 ore) ci interessa per i capitoli che parlano dell'Emilia-Romagna e del Titano. Anche la nostra regione ha sognato che questi problemi non ci toccassero. Il risveglio s'intravede soltanto in parte. Galullo narra del prefetto di Parma che (marzo 2009) tuona contro Roberto Saviano che ha parlato della presenza della camorra in quella provincia. Il prefetto cita come fonte l'Antimafia di Bologna. Ma è proprio il procuratore a capo della stessa Direzione distrettuale antimafia felsinea a difendere Saviano ed a smentire il prefetto di Parma, definendola città "interessata da infiltrazioni di organizzazioni criminali".
Galullo cita da un suo archivio che va dal 2002 all'inizio del 2009. Leggiamo ad esempio il CorSera del 2002 su "Mafia russa, milioni di euro lavati in Romagna", e il Carlino del 2007, "Le lunghe mani dell'est sulla nostra Riviera". Non è tutto. C'è la relazione 2008 del sostituto procuratore antimafia nazionale Carmelo Petraia, dove si mettono nero su bianco le ragioni di Saviano (come sottolinea Galullo), con pagine che smentiscono il prefetto di Parma. Il quale le ignorava del tutto.
Petralia, prosegue Galullo, era stato anticipato (2007) dal sostituto procuratore dell'Antimafia nazionale. Il 19 aprile 2009 il prefetto di Parma è poi smentito da un altro sostituto della stessa Antimafia nazionale, Mario Spagnuolo: un cui collega a fine 2009 parla di nuove realtà criminali che interessano la nostra regione: sono straniere (comunitarie ed extra). Per cui si invoca una forte attività di contrasto e prevenzione onde evitare danni peggiori.
L'aeroporto di Rimini è citato per i capitali dell'Est che (all'inizio degli anni 1990) aprono la strada ad infiltrazioni peggiori (Russiagate, 2002) con il riciclaggio di provenienza illecita. Tutto finisce in una bolla di sapone: "è difficile cogliere con le mani nel sacco i mafiosi russi". Quando (2007) il Carlino parla di lunghe mani dell'Est sulla riviera, i riminesi sono entusiasti, scrive Galullo citando il capo dei nostri industriali, Alfredo Aureli: "I capitali stranieri sono sempre benvenuti" (p. 187). Lo studioso Enzo Ciconte precisa: "Gli italiani fungono da manovalanza. Comandano gli stranieri".
Chiudiamo il libro (presentato a Rimini da Anpi ed associazione "Vedo sento parlo" il 3 giugno presso la sede della Provincia, dall'autore e dal Procuratore della Repubblica di Modena, Lucia Musti). E passiamo ad alcuni appunti di cronaca locale. 1993, il presidente dell'Antimafia, Luciano Violante, dichiara: "La mafia in Riviera ha vestito i panni puliti della intermediazione finanziaria, ma è ben presente". 1994, il sen. Carlo Smuraglia (Commissione antimafia) spiega: "In Romagna è ben presente la mafia che lavora in camicia e cravatta". Dicembre 2005, secondo il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, anche per Rimini vale il principio: il denaro si accumula al Sud e si investe al Nord.
Antonio Montanari

 

Morti di mafia senza pensarci

Cari Morti di mafia. Se aveste fatto finta (niente in politica è meglio del far finta) di essere deceduti per altra causa, l'Italia oggi sarebbe un Paese più felice. Anche se meno civile. Ma in fin dei conti al popolo non interessa di essere civile, quanto di essere felice. Per questo motivo il popolo preferisce le parole d'ordine, i rituali di massa, le oceaniche adunate. Basta che abbia un'insegna sotto cui intrupparsi. Gli è sufficiente mettersi in piedi ad ascoltare la domanda fatale. A chi la vittoria? A noi! Succede oggi. Chiedono al popolo se vuol farsi mettere le mani in tasca per pagare più tasse. Succedeva l'altro ieri. Quando l'ora della Storia batteva sull'orologio dell'Italia. E tutti a dire: vincere, vinceremo. Poi sappiamo com'è andata a finire. Ma ci aveva già avvertiti Ettore Petrolini con la caricatura di Nerone. Non faceva in tempo ad aprire bocca, che riceveva l'applauso preventivo.
Adesso voi Morti di mafia non state sulla coscienza di politici passati o presenti. Ce ne è uno, tra loro, di venerata memoria benché sia vivo, che ha sulla fedina penale una prescrizione (2003) per reati mafiosi. No, voi Morti di mafia, recate danno all'immagine dell'Italia. Non lo dice nessuno, ma lo lascia intendere qualcuno. Se il Bel Paese ha una mafia che è soltanto sesta nel mondo, allora (pensa e dice questo qualcuno) perché tanto impegno nel darle un supporto promozionale.
Se capitasse un marziano tra noi, non capirebbe, e non per colpa nostra o sua. Bisognerebbe dirgli che un presidente del Consiglio (e non di una qualsiasi bocciofila che tuttavia permette di fare belle carriere urbane), ha detto queste cose (certamente con animo ben disposto e senza spirito amaro) contro uno scrittore che denuncia i mali prodotti dalla mafia, accusandolo di fare cattiva propaganda all'Italia.
Insomma, è l'eterna, vecchia lezione che i panni sporchi si lavano in famiglia, così come invece i soldi si riciclano all'estero protetti dagli scudi fiscali, per farli ritornare immacolati nei forzieri nazionali ad onore e gloria dell'italica stirpe. Alla quale recano danno soltanto questi eroi, questi Morti di mafia più ingombranti delle macerie di un terremoto o dei rifiuti depositati in discariche abusive del Sud ma provenienti di nascosto dal virtuoso Nord. Un giudice ha scritto un libro sul perché l'Italia ha sconfitto il terrorismo ma non la mafia. Non dimenticatelo, Gian Carlo Caselli: è costretto a vivere protetto. [991]

 

Segnalato

 
Sono stato additato sul web come blogger "a sfondo rosso". Solenne idiozia. La cosa offensiva è che l'accusatore per invidia ha fatto tutto il suo discorso in un post relativo al regime comunista cubano che uccide. L'affermazione è talmente cretina e squadristica che non merita altra replica.

 

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