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antonio montanari

Anna Falchi, resisti

 
Cara Anna, da vecchio romagnolo a giovane romagnola, mi permetto di scriverti per mandarti un augurio.
Sui giornali di oggi appare il tuo sfogo, fatto di delusione, tristezza e rimpianto.
Delusione per quello che non hai (una casa tutta tua), tristezza (per essere stata usata nelle chiacchiere politiche come simbolo sessuale e basta, utile a misurare l'intelligenza del marito), rimpianto per un passato in cui pensavi ad un futuro migliore.
Fatti coraggio.
Lo sai come va il mondo, d'altro canto se tuo marito avesse detto che lui non era un lanzichenecco non per avere Anna Falchi nel talamo nuziale, ma la Rita Levi Montalcini al tavolino del caffé, beh, nessuno lo avrebbe preso sul serio.
Tu sei una di quelle donne che Madre natura ha dotato di bellezza, le sarte vestite di panni ridotti e i registi cinematografici spogliate degli stessi abiti previsti a singhiozzo nelle scene di un film soltanto per essere tolti e gettati alle ortiche.
Ma da vecchio romagnolo ti dico di resistere, anche per quelle foto che trovi su internet, dove la bellezza cantata da Ugo Foscolo come unico balsamo per rallegrare «le nate a vaneggiar menti mortali», è in una versione poco castigata di un innocente ritorno alla fanciullezza in cui nulla fa scandalo.
Il tuo passato artistico, belle forme in bella mostra, condiziona anche i discorsi del consorte? Pazienza. C'era una volta un film, «Povere ma belle». Ti auguro di restare bella e di non diventare povera come  nelle interviste fai intravedere di temere.
Ti siamo vicini, noi vecchi della Romagna che nella testa abbiamo l'idea della bellezza e della forza che c'era una volta nel cuore delle nostre donne. Non per nulla le chiamavano «le reggitrici». Faglielo vedere ai romani che sei romagnola, e che non ti arrendi davanti alle sorprese della vita.
Per questo, unisco all'augurio, una foto che ti ritrae con Federico Fellini, tatarcord («ti ricordi», traduzione per gli "stranieri")?

 

Fratelli siamesi

 
Ci risiamo. Apri il giornale di stamattina, ecco Prodi che parla di clima politico «irrespirabile». Ti colleghi ad Internet nel pomeriggio, ecco Berlusconi che denuncia l'esistenza di un «malvagio circuito di veleni».
Signori, per favore, mettevi d'accordo. O rilasciate comunicati congiunti per dichiarare la stessa cosa, oppure cercate di tenerci allegri con un po' di fantasia. E di allegria, dato che ce n'è poca in giro...
Inventatevi qualcosa di diverso. Se uno dice bianco, l'altro dica almeno grigio. Non si può andare avanti così. La stessa minestra riscaldata da maggioranza ed opposizione, è sommamente indigesta.
Sia lode a Bruno Tabacci che almeno ha deragliato dalla pigrizia e dalla ripetizione con qualcosa di nuovo ed originale. In un'intervista rilasciata ieri 16 giugno a «Libero» ha detto papale papale che hanno vinto i furbetti ed ha perso il Paese, che Berlusconi è il leader naturale di chi ragiona con la pancia, e che Prodi ha commesso «errori madornali».
Poco rilievo nazionale ha avuto un intervento di tre docenti universitari, Franco Bacchelli, Stefano Bonaga e Maurizio Matteuzzi, sul «Corriere di Bologna» di ieri, intitolato «I cittadini e il Manovratore».
Esso fa sèguito al manifesto dei «43 intellettuali»bolognesi che criticavano la Giunta della loro città. E che ha suscitato un vespaio negli "apparati" di partito, presenti passati e futuri.
A questo vespaio rispondono Bacchelli, Bonaga e Matteuzzi partendo inconsciamente dalla famosa norma che vieta di parlare al «Manovratore» (nel loro caso, Cofferati). Quanti fanno critiche e proposte, come debbono essere considerati, si chiedono retoricamente (ed ironcamente) i Nostri: «Guastatori? Narcisotti? Ambiziosi frustati? Rompicoglioni? Grilli parlanti?». Per concludere che la virtù del cittadino non sta nell'ossequio silenzioso e nella sudditanza psicologica, richiesti al soldato.
È accaduto pure al sottoscritto di domandarsi, come i tre professori di Bologna, se la critica alla politica cittadina sia un reato di lesa maestà.

 

Accordi bipartisan

 
La rivelazione pubblicata oggi da Giuseppe D'Avanzo su Repubblica circa un patto bipartisan per le banche nel 2005, mi conferma in un'opinione che avevo espresso lo scorso anno (29 luglio 2006) in un post in cui partivo da vicende locali per ricavarne conclusioni generali: «Larghe intese (da Rimini a Roma)». E che avevo rilanciato anche il mese scorso.
Se fosse tutto vero quello che emerge dall'articolo di Repubblica (come ho fondatamente motivo di credere), non ci sarebbe nessuno scandalo. Ne uscirebbe rafforzata la mia convinzione che l'antipolitica non sta nelle menti dei cittadini che protestano, ma nell'operato dei politici che dal governo o dall'opposizione ci governano (la nostra è una Repubblica parlamentare).
L'antipolitica è andata in scena ieri sera con la signora Michela Vittoria Brambilla ospite della Sette. Ha dichiarato che gestirà i suoi Circoli ascoltando le opinioni della gente. A dimostrazione che i politici non servono a nulla? O per realizzare una rivoluzione maoista come ironizzava Buttafuoco?
Il commento di Ghost sul settimanale femminile del Corsera uscito oggi, è illuminante: le calze autoreggenti di MVB sono vecchie, da Prima Repubblica.
Ghost è per il reggicalze, un «classico democratico».
Aspettiamo i decisivi pareri di Bondi, il poeta che ha già dedicato a MVB versi accesi come i capelli della signora. Poi dovremmo trarne tutti le logiche conclusioni e salire al Colle per comunicarle anche al Capo dello Stato. (Perbacco, non ricordavo: lo faranno già mercoledì prossimo i signori vicini a MVB chiedendo una cosa contro la Costituzione: nuove elezioni.)
Per vedere tutti gli articoli qui linkati vai sul blog della Stampa.

 

L'Italiaccia

 
Caro Romano Prodi. 
Impeccabile appare la sua dichiarazione di queste ore, con la «totale fiducia verso gli esponenti politici toccati da questa sgradevole polemica».
Lei sottolinea «ancora una volta il rispetto per l’operato dei giudici» ed auspica «la più rigorosa discrezione nel pubblicizzare aspetti privati dei singoli, distinguendo gli atteggiamenti e i comportamenti dai fatti realmente compiuti».
OK, presidente. Le stesse formule le abbiamo ascoltate nel 1992, quando s'avvicinò il tifone di «mani pulite».
Fortunatamente non vedo richiedere una giustizia pronta. Quando sappiamo che è tutto il contrario. 
Ma, caro professore, al cittadino che vive fuori dei circoli esclusivi della politica, il suo discorso lascia l'amaro in bocca. 
Perché dev'essere «sgradevole» la polemica? Abbiamo notizie di alcuni «fatti». Essi possono essere veri o falsi, come le relative notizie. 
Se è tutto vero come pare (senza reati penali, beninteso, per nessun politico coinvolto), è sgradevole tutto ciò per la gente che crede ancora in una politica ben diversa da quella che vede un palazzinaro portato agli onori della ribalta politica, quando poteva curare gli affari suoi e quelli di un qualsiasi partito di riferimento con la stessa discrezione di certe dame "allegre" che non facevano dell'alcova un palcoscenico, ma soltanto una scala per rimediare denari e prestigio partendo da posizioni sociali infime. 
La virtù non è il non vendersi, sia per le dame "allegre" sia per i politici, ma ilsalvare la faccia se si è costretti a farlo. 
E che faccia salvano i politici di governo di oggi che da sinistra esaltano le quotazioni della Telecom e non considerano il disastro sociale che la gestione della società ha provocato con i licenziamenti? 
Vede, caro presidente, il destino è beffardo: sceglie gli uomini migliori come lei per farli agire nelle situazioni peggiori. 
Lei è una degnissima persona, ma certo contorno del suo governo è da farsa. Quando il palazzinaro diventa eroe del nostro tempo anche nel tempio della politica, senza che nessuno lo scacci (fisicamente, con pedate nel sedere), ebbene allora siamo su «Scherzi a parte», non a Palazzo Chigi. 
Ci hanno riproposto nei giorni scorsi il dilemma fra Italietta ed Italiona. Il Cavaliere accusa il Professore di aver ridotto la seconda alla prima. Probabilmente siamo rimasti sempre in una Italiaccia che si regge sul comico bisogno di regalare sogni di gloria e sul comportamento fra il fanatico ed il ridicolo dei suoi cittadini peggiori che non pensano mai ai doveri ma soltanto ai diritti. 
L'articolo di stamane sulla Stampa del prof. Luca Ricolfi termina con queste parole: «Dal voto non emerge affatto una chiara e univoca volontà popolare, ma semmai un Paese sempre più diviso. Metà vuole meno tasse, l’altra metà vuole più spese. Un terzo spera (ancora) in Prodi, un terzo spera (di nuovo) in Berlusconi, un terzo pensa che né l’uno né l’altro ci tireranno fuori dai guai. Personalmente faccio parte dell’ultimo terzo e temo che, finché l’Italia scettica non diventerà maggioranza, nessuno avrà mai la forza per farci uscire dal guado».
Ecco abbiamo bisogno di questa «Italia scettica» e delle sue voci. Per rispondere all'Italiaccia egoista e becera che ruba sul peso, frega nelle tasse, non vuole nessuna cultura tranne quella che faccia guadagnare presto e bene con i quiz televisivi. 
Una postilla locale. Un episodio del 1992: il settimanale diocesano «il Ponte» perde il suo fondatore e direttore per sedici anni don Piergiorgio Terenzi, parroco a San Lorenzo in Strada (Riccione). Il 30 agosto 1992 accanto al comunicato del vescovo che ne annuncia le «dimissioni», don Terenzi offre la sua «ultima idea di fondo» intitolandola «Elogio del somaro»: «Facciamo festa insieme, anche se, forse, con motivazioni diverse. È già quasi da un anno che attendevo questa comunicazione».  Nel settembre 1991 Terenzi ha lanciato un sospiro amaro, «Viva le tangenti!!», scrivendo: «Chi governa ha il privilegio della tangente … nel migliore dei casi a favore del partito o del gruppo politico; nel peggiore, con abbondanti creste personali».
Don Terenzi ha anticipa l’inchiesta «mani pulite» avviata a Milano il 17 febbraio 1992. Passano altri due anni, ed egli è sollevato pure dalla parrocchia riccionese. 
L'amico don Terenzi è stato l'unico a pagare nella mia città per la questione «tangenti».

 

Un pm accusa

Luogo, tribunale di Rimini. Udienza per un processo per  presunti maltrattamenti in un ospizio.
La cronaca giudiziaria di un quotidiano locale di stamane intitola: «In aula esplode la rabbia del pm: "Vigliacchi"».
Nella cronaca leggiamo che il pm ha espresso la sua indignazione non soltanto contro gli imputati, ma anche contro le cosiddette autorità competenti che avrebbero dovuto vigilare e non lo hanno fatto.
Il pm ha ragione. In quest'Italia del «dì che ti manda Picone» (cambiano i cognomi secondo le geografie politiche), tutti gli «addetti ai lavori» fanno finta di non vedere quello che è invece sotto gli occhi della gente.
E se qualcuno osa dire qualcosa, allora si cerca di mettere a tacere la voce di chi accusa, e non si indaga sugli 'accusati'.
Occorre essere orgogliosi che ci sia ancora qualcuno in Italia capace di indignarsi. Come quel pm di Rimini (Paolo Gengarelli) con il suo grido: «Vergogna, vergogna, vergogna, vigliacchi». Tra i quali ha inserito anche i congiunti delle vittime dei presunti maltrattamenti.

 

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